La stellina della carne bovina

Economia

Il valore che genera il mercato

L’allevamento bovino italiano, oltre a fornire carne di qualità, dà lavoro a diverse decine di migliaia di persone: sono 80mila le famiglie coinvolte e oltre 110mila gli allevamenti sparsi su tutto il territorio nazionale. In Italia, Paese che ha risentito anche più di altri della crisi economica di questi ultimi anni, il valore economico del settore bovino assume così una rilevanza che va oltre la sfera zootecnica o agricola.
Nel Belpaese, il solo settore delle carni genera ogni anno circa 30 miliardi di euro, vale a dire un sesto dell’intero settore alimentare ed una porzione importante del Prodotto Interno Lordo nazionale (circa 1.500 miliardi di euro). A livello economico, inoltre, la produzione di carne e latticini si trova al primo posto tra le principali produzioni agricole italiane, contribuendo positivamente non solo alla bilancia economica nazionale, ma anche al supporto delle economie locali.
Bisogna poi ricordare che la filiera del bovino coinvolge altre due filiere molto importanti dell’economia del nostro Paese: la filiera del latte, a cui dobbiamo produzioni alimentari anche molto votate all’export, come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano; e la filiera della pelle, rinomata nel mondo per la moda e l’automotive.

La dipendenza dall'estero e le nuove opportunità delle produzioni nazionali

Se nel nord e nel centro l’allevamento bovino si è sviluppato in un contesto socio-economico abbastanza attivo e parallelamente a uno sviluppo economico e industriale di un certo livello, la sua importanza è stata ed è tuttora più evidente nelle aree interne di sud e isole, in quelle montane alpine ed appenniniche e in generale nelle regioni a maggior rischio disoccupazione.
In queste zone, oltre ai benefici economici ed occupazionali degli allevamenti bovini, si affiancano quelli legati alla tutela del territorio e alla conseguente coltivazione dei cereali che accompagna l’allevamento bovino.

La loro presenza, infatti, permette di evitare da una parte un ulteriore abbandono di molte aree marginali, dall’altra evita fenomeni di cementificazione di un Paese che, come l’Italia, detiene già il triste primato europeo nel consumo di suolo. Pur essendo una voce così importante dell’agroalimentare italiano, il settore bovino nazionale non riesce a far fronte alla domanda interna di carne. Per questo motivo, ad oggi, la filiera bovina importa circa il 40% del fabbisogno complessivo e il tasso di auto-approvvigionamento del nostro Paese si attesta intorno al 60%. Il saldo delle importazioni in questi ultimi anni è di circa 2,6 miliardi di euro.

Secondo i recenti dati Ismea, però, negli scambi con l’estero si stanno verificando dei cambiamenti di tendenza: oggi il consumatore è sempre più alla ricerca di carne italiana e questo comporta una riduzione delle importazioni dall’estero a favore degli allevamenti nazionali che, negli ultimi anni, hanno registrato un’inversione di tendenza con un incremento del patrimonio bovino italiano.
Nonostante la concorrenza di Paesi con un costo del lavoro inferiore, nonostante gli attacchi di stampo ideologico e nonostante il Meat Sounding (la sempre più diffusa commercializzazione di prodotti vegetali che si presentano assumendo una definizione commerciale che richiama invece prodotti carnei), la carne bovina italiana sta vivendo una nuova giovinezza.

Questo anche grazie alla consapevolezza da parte dei consumatori dell’elevata qualità delle carni rosse nostrane.

Nascono così allevamenti di nuova generazione gestiti da allevatori, spesso molto giovani, con ottimi livelli di preparazione ed istruzione e con una maggiore consapevolezza dell’importanza del benessere animale e della salvaguardia di ambiente e biodiversità, aspetti che hanno consentito l’aumento della redditività delle imprese zootecniche.

Trend dei consumi

In nessuna epoca storica l’uomo ha dovuto affrontare una richiesta di cibo come quella attuale. Negli ultimi 55 anni la popolazione mondiale è passata da 3 miliardi di individui a 7,5 miliardi, e si prevede raggiungerà nel 2050 quota 9 miliardi.
I Paesi industrializzati oggi pesano per circa il 40%, rispetto all’intera popolazione della Terra. Quindi, se è vero che nelle società del benessere i consumi di carne tendono a stabilizzarsi, nei Paesi emergenti, cioè dove vive più del 60% della popolazione mondiale, la domanda di proteine è invece in forte crescita. Tanto è vero che la FAO prevede, entro il 2050, un aumento della domanda di latte, carne e uova del 60%.
Questo dato non deve stupire, in quanto l’aumento del consumo di proteine da parte dei Paesi in via di sviluppo non fa altro che colmare l’atavico deficit proteico della popolazione, ossia colmare la prima necessità dell’uomo per un’adeguata nutrizione.
Questo problema deve essere affrontato, come prevede la FAO, per arrivare all’obiettivo di fame zero nel mondo: le società cosiddette del “benessere”, tra cui anche l’Italia, devono farsi parte attiva per esportare tecnologia, conoscenze, competenze in modo da permettere a queste nazioni di sopperire ai loro deficit nutrizionali.
Il modello di riferimento per una dieta equilibrata dovrebbe essere quello della dieta mediterranea, patrimonio mondiale dell’Unesco, che già prevede il giusto equilibrio tra varietà di alimenti e quantità dei cibi consumati, tra cui anche la carne bovina.
Il consumo complessivo di carni in Italia è molto più equilibrato rispetto alla media dei Paesi europei, proprio perché inserito nella modello mediterraneo, e si colloca al terzultimo posto con un consumo totale apparente di 76,6 kg di carne pro/capite all’anno, di cui 19,2 kg di carne bovina, 39,5 kg di carne suina, 19,4 kg di carne avicola e 1 kg di carne di ovino. (Elaborazione Censis su dati Gira 2015).

Il bovino: una concreta opportunità per la crescita dei paesi in via di sviluppo

Se in Italia si sta assistendo a una trasformazione degli allevamenti in chiave tecnologica e sostenibile, laddove l’innovazione o certi livelli di istruzione non sono ancora arrivati l’allevamento bovino rappresenta una preziosa risorsa economica. Infatti, per milioni di persone di popolazioni a rischio fame e povertà, esso è un’importante fonte di reddito, se non di emancipazione sociale ed economica. Secondo la FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), nel mondo “il bestiame è fondamentale per il sostentamento di circa un miliardo di persone povere”, e dà lavoro a circa 1,3 miliardi di individui.
Nel sud del mondo, quindi, dalla zootecnia può arrivare un fondamentale contributo alla riduzione della povertà e delle differenze di genere, soprattutto grazie agli allevamenti su piccola scala.

Gli animali sono spesso l’unica fonte di reddito e di sostentamento per le persone di molte regioni svantaggiate, e spesso le donne nei Paesi in via di sviluppo riescono a ottenere l’indipendenza economica proprio allevando animali.

Fronteggiare la consistente crescita dei consumi globali di carne rappresenta una delle principali sfide di questo secolo. Ecco perché serve capire il vero valore della carne bovina e degli allevamenti da cui proviene, possibilmente andando oltre le prese di posizione ideologiche e trovando, come si sta facendo da anni in Italia, metodi di produzione sempre più sostenibili.

Il consumo di carne bovina ha sempre rappresentato un indicatore del raggiunto benessere di una società.